Ancora una volta, Matteo Portinaro ci delizia con un dei suoi articoli, anche questa volta dedicato ad un mito del Motocross Mondiale, Alessio ‘Chicco’ Chiodi, e lo fa in occasione del suo 45° compleanno.
Naturalmente, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di pubblicare questo articolo che ripercorre i tratti salienti della carriera di Chicco Chiodi: dalle ‘prime curve’ in sella ad una motocicletta alla tenera età di 5 anni, sino a quando lo scorso anno ha preso parte alla prova del Campionato Italiano MX1-MX2 di Montevarchi, all’età di 44 anni. Una gloriosa carriera costellata da tre titoli Mondiali!
Negli anni ’80 il Motocross azzurro ha visto nascere i primi veri campioni capaci di imporsi a livello internazionale, ma è stato nel decennio successivo che ha riscosso un successo ancora più ampio, grazie all’avvento di giovani leve che per svariate stagioni hanno saputo regalare agli appassionati italiani gioie indimenticabili. Tra questi, un ragazzo nato a Salò, Alessio Chiodi: approdato nel mondiale della ottavo di litro nel 1992, ha in breve tempo scalato le classifiche, diventando un punto di riferimento indiscusso del movimento crossistico nostrano, nonché uno dei più affermati piloti di tutti tempi, specie per quanto riguarda le piccole cilindrate. Grazie al supporto della sorella Federica abbiamo ricostruito il percorso di Chicco, dall’infanzia fino ai giorni nostri, tra aneddoti, curiosità e retroscena del tre volte campione del mondo.
La passione di Chicco per il Motocross nasce già nella più tenera età, quando a soli 5 anni inizia a correre tra le vigne del nonno con un Villa, comprato dal padre. Quelle prime corse dietro casa sanciscono l’inizio di una grande avventura e sono il preludio delle future numerose vittorie. C’è poi un particolare tanto curioso quanto divertente: il piccolo Alessio non ha ancora tolto le rotelle dalla bicicletta, ma in moto va già fortissimo, dimostrando fin dalle uscite iniziali un talento innato. Il padre si accorge ben presto di tutto ciò e così gli costruisce una piccola pista che il bresciano usa per divertirsi e per prendere sempre più confidenza con il mezzo meccanico. I sacrifici per portarlo alle gare e per sostenere le varie spese derivanti da una minimoto sono innumerevoli, ma i costanti risultati nelle posizioni di vertice gli fanno capire che quella è la strada da perseguire.
A 10 anni viene notato da Dario Nani, ex pilota di caratura nazionale e mondiale, che lo supporta fornendogli abbigliamento e materiale vario. Nonostante riesca ad usare la moto solo nel fine settimana, il promettente ragazzo partito da lontano continua a macinare successi, fino a quando a 17 anni arriva la svolta: è la chiamata di Corrado Maddii, all’epoca responsabile del team Italia, a far capire che qualcosa sta cambiando. Il toscano crede fermamente in lui e tra i due si formerà un legame solido che continua ancora tutt’oggi.
Non ancora maggiorenne approda così in un team di prestigio, dove ha la possibilità di maturare e di gareggiare ad alti livelli. Dopo aver ottenuto il successo nel campionato europeo 1991, debutta nel mondiale della ottavo di litro l’anno successivo, togliendosi subito la soddisfazione di vincere una manche nel gp d’Italia, corso a Ponte a Egola.
In poche stagioni la sua crescita è impressionante: nel 1994 è vice campione del mondo della 125, preceduto solo dall’esperto Bob Moore e l’anno successivo lotta gomito a gomito per la conquista del titolo contro un avversario del calibro di Alex Puzar. Il piemontese accumula un grande vantaggio nella prima parte di stagione, ma la grande determinazione di Chicco gli consentirà di ricucire il gap nella classifica generale, permettendogli di arrivare nel conclusivo gp di Germania con una lunghezza di margine sul rivale. La gara finale, svolta sul tracciato di Reil, è però da dimenticare e segna la prima grande delusione della carriera: nella frazione d’apertura urta il cartello segnalatore del meccanico di Mickael Maschio. Riesce comunque a concludere la manche alla piazza d’onore, dopo un’ottima rimonta, ma a fine prova il guanto insanguinato denota che la botta c’è stata. Gli viene riscontrata la rottura della prima falange dell’anulare, ma lui quasi non batte ciglio e disputa l’ultima manche al massimo. Ciò tuttavia non basta e Chicco vede volar via per un’inezia il tanto atteso titolo.
Di quella giornata triste un evento rimarrà però per sempre impresso nella memoria del pilota bresciano. Finite le premiazioni di rito, Maddii si dirige nel suo box per parlargli, compiendo un gesto quasi inaspettato, specie se si considera che il toscano all’epoca era il team manager di Puzar. Un’ora di dialogo intenso e sentito, dove Corrado cerca di rincuorarlo, ricordandogli quanto di buono abbia fatto durante il corso di tutta la stagione. Quello forse è uno dei momenti che sancirà la vera costruzione di quella che sarà un’egemonia durata ben tre stagioni.
Infatti dal 1997 al 1999 nessuno sarà più in grado di sottrargli l’iride del mondiale 125. Un tris costruito dapprima in Yamaha con Claudio De Carli, quando al rientro dopo una stagione opaca nella quarto di litro tiene la testa del campionato per tutta la stagione, facendo suo il titolo nella conclusiva prova olandese, sulla temibile sabbia di Lierop. Nel 1998 arriva l’offerta da parte della Husqvarna e lui coglie quella sfida al volo, quando sarebbe stato più semplice rimanere in un team già collaudato e con molte certezze. Martino Bianchi (responsabile del reparto corse) crede fortemente nel pilota bresciano ed i risultati gli danno subito ragione. Nell’inverno del 1998 è notevole il lavoro per sviluppare un mezzo rifondato in ogni suo componente: dalle sospensioni, al telaio, passando per il motore. Chiodi continua così ad imporsi facendo apparire tutto quasi semplice, ma dietro tutto ciò c’è l’abnegazione di un ragazzo smosso da una voglia incredibile di vincere. Anche solo un pur importante piazzamento sul podio veniva accolto quasi come una sconfitta, così che, a fine manche, Chicco aveva bisogno di estraniarsi dal resto del mondo, con i pensieri e le analisi del caso da fare. Un momento che gli serviva per valutare a mente fredda gli errori commessi, le cose da salvare o modificare e che lo ha aiutato a diventare il campione che tutti sappiamo.
Questa forza non risiedeva solo nella mente, ma anche in una preparazione fisica che faceva quasi impressione. Dopo manche estenuanti da 45 minuti, come quelle che si correvano allora nel mondiale, Chicco in più di un’occasione scendeva dalla moto senza dare segni di cedimento. Questa freschezza era ben testimoniata dal cambio di passo che sapeva mettere in mostra negli ultimi minuti di manche: quando le forze iniziavano a venire meno per tutti, lui usciva alla distanza assestando colpi che chiudevano ogni contesa. Un’altra nota che rimarca quanto la preparazione fosse curata nel minimo dettaglio è ben spiegata dalla modalità con la quale si preparava per le trasferte oltreoceano, come Giappone o Indonesia: già due settimane prima della gara impostava la sua vita seguendo gli orari del paese in cui sarebbe andato a correre e diventava quindi facile trovarlo sveglio in piena notte a fare jogging o palestra. Queste attenzioni scrupolose nella preparazione gli hanno fruttato vittorie e successi passati alla storia, nonché i tre titoli mondiali ed è anche per questo che aumentano i rimpianti per la sfortunata esperienza americana.
L’esordio negli Stases avviene nel 1999 e fin dalle prime battute ottiene riscontri positivi. L’anno successivo sarebbe stato quello del definitivo approdo nel continente americano, se le cose però non avessero preso una piega diversa, a causa del serio infortunio alle vertebre patito durante il “Motor Show”. Torna comunque negli Usa all’inizio della nuova stagione, ma una nuova caduta gli provoca ulteriori problemi, tanto da doverlo costringere a rinunciare a quell’avventura tanto sognata. Questo, forse, rimane il più grande rimpianto sportivo del talento azzurro, testimoniato icasticamente da uno dei suoi tanti tatuaggi, dove ha raffigurata la statua della libertà in lacrime, il che va ad avvalorare la tesi citata pocanzi.
Quello che continua a farci apprezzare sempre così tanto un campione del suo calibro non deriva solo dal fatto che abbia conquistato mondiali e successi prestigiosi, ma anche da un insieme di ricordi che ci portiamo dentro di quel cross degli anni ’90 che sembra ormai distante anni luce. In quel periodo tante cose erano diverse, tra i piloti c’era un clima assolutamente non paragonabile a quello odierno, dove i campioni sono molto più schivi, distaccati e di rado li si può trovare nel paddock. L’atmosfera è mutata radicalmente e diventa così inevitabile ripensare a quell’abbraccio tra Chicco e Puzar a pochi istanti dal via della manche decisiva del mondiale 1995. Due piloti che, a pochi minuti dal giocarsi una stagione, avevano comunque la voglia di parlarsi, di condividere quel momento insieme, ben sapendo che uno ne sarebbe uscito vincitore e l’altro sconfitto. Assistere ad un scena simile al giorno d’oggi sembra pura utopia e quindi ci teniamo ancora più stretta quell’immagine che sintetizza da sola la differenza del cross di allora da quello presente.
Solo un anno fa Chicco ha colto un quinto posto di manche a Montevarchi, in una prova di campionato italiano, che ha lasciato a bocca aperta i media e gli addetti ai lavori, scatenando successivamente le critiche sul reale valore dei nostri giovani piloti, quasi tutti preceduti da un campione che a 44 anni riesce a piazzarsi davanti a ragazzi con la metà dei suoi anni. Chicco da par sua sta continuando ad allenarsi, a correre in moto, a seguire lo stesso stile di vita che aveva ai tempi del mondiale. Ancora oggi quando scende in pista chiede di sapere i tempi sul giro, di essere costantemente informato sul suo ritmo, curando ogni giorno il minimo dettaglio.
Oggi spegne 45 candeline un ragazzo che ha seguito la via della passione, che con poche parole e tanti fatti è arrivato in cima al mondo. Una persona che ha in testa ancora molti sogni da realizzare e la voglia di aiutare nel concreto i piccoli appassionati che con dedizione e volontà vogliono provare ad emergere. La ricetta per diventare il numero uno il bresciano la conosce bene, ma ciò che più gli sta a cuore è che loro crescano non solo a livello sportivo, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto umano e morale, non venendo mai meno a valori importanti come la lealtà ed il rispetto, senza dimenticare una delle componenti principali, ovvero il divertimento. Bisogna essere campioni nello sport come nella vita e lui ne è un esempio lampante.
Di anni ne sono passati da quando nel 1997 a Lierop alzò lo sguardo al cielo, con quella luce speciale negli occhi che rifletteva la felicità di un ragazzo che aveva realizzato il sogno di diventare campione del mondo. In quei momenti avrà pensato un’infinità di cose, ma tra tutte siamo certi che avrà abbracciato idealmente il papà volato troppo frettolosamente in cielo. Colui che lo aveva iniziato in questo sport ora poteva ammirare dall’alto la gioia del figlio, che da quel momento in poi avrebbe riscritto la storia del cross italiano e non solo.
Il tempo passa frettolosamente, allontanandoci spesso dai nostri ricordi, ma le emozioni che Chicco ha saputo lasciare sulla pelle di chi ha vissuto quel periodo indimenticabile sono ancora presenti oggi e non se ne andranno mai.
Articolo by Matteo Portinaro
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